IL SENSO DEL DOLORE
Scrive Pietro apostolo: «Perciò voi esultate anche se ora, per breve tempo, è necessario che siate afflitti da svariate prove…» (1 Pietro 1, 6). L’esultanza del cristiano è motivata dalla speranza, nonostante le prove. La prospettiva che stà dinanzi a loro genera un’allegrezza che dona la consapevolezza che le pene saranno di breve durata, il premio sarà invece eterno.
Qui troviamo un’eco al discorso della montagna in cui Gesù proclama felici quelli che piangono, che sono perseguitati per ragioni di giustizia, perché sanno che grande sarà la loro ricompensa nei cieli (Matteo 5, 11-13). Giacomo usa pure espressioni analoghe sulla gioia e il dolore (Giacomo 1, 2-4).
In un mondo malato, dove la ragione si smarrisce nella nebbia, occorre che il dolore serva a ritrovare la luce. In questo mondo ferito, dove l’odio si scatena nell’iniquità, bisogna che il dolore serva a cantare l’amore. Solo il dolore dà luce, calore e rilievo alla favola e al ricamo della vita. Il tempo passa e il fiume corre verso la foce. È necessario vivere prima di morire e capire prima di giungere alla meta.
Senza amore non si vive, senza dolore non si ama. Bisogna imparare ad amare per vivere meglio. E a soffrire, per amare di più. Così amore e dolore sono il flusso e il riflusso del mondo. L’amore ci invita con un sorriso e, attraverso le vie della gioia e della speranza, ci guida a comprendere il dolore. Il dolore ci chiama con voci diverse e, attraverso le vie aspre della pazienza e della rinuncia, ci guida nei giardini dell’amore.
Accettare il dolore è unire la propria voce al coro di tutti i fratelli. Rifiutarlo è voler rimanere muti. Un giorno, caro fratello in Cristo, il dolore ti chiamerà per nome. Allora non rintanarti nell’ombra: ti fulminerà con la luce. Non fuggire lontano: ti inseguirà per tutte le strade. Non turarti le orecchie: ti parlerà con altra voce. Non ribellarti come un bimbo. Se il dolore ti chiama, fermati ad ascoltarlo: ti dirà la più bella parola di cui hai bisogno.
Noi siamo vivi solo quando soffriamo. E forse ancora non sappiamo quale preziosa fortuna sia nascosta in quella che gli uomini chiamano sventura. Il cristiano è uno che canta nella tempesta, ecco perché talvolta una limitazione fisica genera un’espansione spirituale.
Cristo è presentato dal profeta Isaia come «uomo di dolore, familiare col patire» (Isaia 53). Paolo apostolo consola i fratelli con parole alte: «Io [Dio] abiterò in mezzo a loro ed essi saranno mio popolo…e vi sarò Padre e voi mi sarete figli e figlie, dice il Signore Onnipotente». E ai Galati, sul tema della gioia: «Il frutto dello Spirito è amore, allegrezza, pace». Ai Romani: «Il regno di Dio è giustizia, pace e allegrezza». Ai Tessalonicesi: «Siate sempre allegri». «…Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Sarà forse la tribolazione, o la distretta, o la persecuzione, o la fame, o la nudità, o il pericolo, o la spada?…In tutte queste cose noi siamo più che vincitori, in virtù di Colui che ci ha amati. Poiché io sono persuaso che né morte, né vita, né angeli, né profondità, né cose presenti, né cose future, né podestà, né altezza, né profondità, né alcun’altra creatura potranno separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro signore» (2 Corinzi 6,16; Galati 5, 22; Romani 14, 17; 1 Tessalonicesi 5, 16; Romani 8, 35).
Per un’educazione morale, per aiutarli a conoscere se stessi, per accrescere e purificare se stessi, per migliorare la loro fede, per rivelarne la potenza e la sincerità: «Ora, per un po’ di tempo, se così bisogna, siete afflitti da svariate prove». Ma soffrire senza fidarsi e affidarsi, soffrire senza credere è come morire di sete vicino a una fontana.
Rodolfo Berdini