di David McClister
Il termine “fede” è oggi, probabilmente, una delle parole più fraintese della Bibbia. Molte persone pensano alla fede semplicemente come a qualcosa che nasce in loro. La fede, per molti, è vista fondamentalmente come l’opinione di una persona. Per costoro credere significa avere un’idea su qualcosa, che ha tuttavia ha scarso effetto pratico sulla loro vita.
L’idea biblica della fede non è assolutamente così. La fede non è semplicemente la tua opinione; non è semplicemente un’idea. Sebbene includa l’idea di credere nell’esistenza di Dio, è molto di più. Come disse Giacomo: “Tu credi che Dio sia uno. Fai bene; anche i demoni credono e tremano» (Gc 2:19). La fede, nella Bibbia, non è solo un’idea. Non si limita a credere nell’esistenza di Dio, o a credere nella risurrezione di Gesù, o nella divinità di Gesù, ecc. Avere fede, nella Bibbia, significa impegnarsi e dedicarsi. Significa mettere in Lui la nostra fiducia, mettere nelle sue mani la nostra vita. Significa riporre tutta la fiducia e la speranza in Dio perché si capisce di essere impotenti e, per questo, si decide di scegliere la sua via. Avere fede è confessare la propria impotenza e il proprio bisogno di Dio, che può fare per noi ciò che noi non possiamo fare per noi stessi. La fede nel senso biblico è molto più di qualcosa che passa nelle nostre teste. È qualcosa che facciamo con la nostra mente, il nostro cuore e la nostra volontà. La fede è il dono completo di noi stessi a Dio.
Il libro agli Ebrei dice molto sulla fede. Tuttavia, l’autore non discute ogni aspetto della fede biblica. Il motivo è semplice: ai suoi lettori non mancava completamente la fede. Credevano in Dio, credevano nella risurrezione di Gesù, e in molte altre cose. Il problema non era che mancassero del tutto la fede, ma che la loro fede aveva alcune carenze. In particolare, l’autore indica un aspetto che era gravemente debole: la perseveranza. Se confido veramente in Dio, allora seguirò ciò che dice fino alla fine. La persona che rifiuta di seguire Dio e che vuole abbandonarlo non si fida completamente di Dio. Questo era il problema dei lettori originali di questa epistola.
L’autore vedeva chiaramente che il suo pubblico non aveva la qualità, o la forza, della fede in Dio di cui aveva bisogno. Avevano già affrontato la persecuzione e ora la stavano affrontando di nuovo. Alcuni di loro hanno pensato “Non posso affrontare tutto questo nuovamente”. Questo atteggiamento mostrava che non si fidavano abbastanza di Dio. Non credevano veramente che Dio sarebbe stato con loro, per rafforzarli e liberarli. In una certa misura, pensavano che sarebbe stato tutto a loro carico e erano consapevoli di non potercela fare. In altre parole, quando erano certi di dover affrontare delle difficoltà, pensavano solo a ciò che potevano fare e non si fidavano di ciò che Dio poteva fare per loro. Questa mancanza di fede in Dio era il loro problema fondamentale, ed è su questo che si è concentrato l’autore. La parola “fede” (in varie forme) compare 41 volte in Ebrei.
Riprenderemo la discussione sulla fede in Ebrei 10:36-39. Qui l’autore cita l’Antico Testamento da Abacuc 2: “Infatti avete bisogno di costanza, affinché, fatta la volontà di Dio, otteniate quello che vi è stato promesso. Perché: «Ancora un brevissimo tempo e colui che deve venire verrà e non tarderà; ma il mio giusto per fede vivrà; e se si tira indietro, l’anima mia non lo gradisce». Ora, noi non siamo di quelli che si tirano indietro a loro perdizione, ma di quelli che hanno fede per ottenere la vita”. Nota le parole chiave: “costanza” e il suo opposto “si tira indietro”. Il versetto di Abacuc rende molto chiaro un punto: le persone di fede sopportano. O, per dirla in un altro modo, le persone che cedono davanti alla prova non hanno veramente fiducia in Dio e questo tornare indietro dispiace al Signore.
Sebbene sia possibile definire la fede in modo astratto, o descrivere la fede in modo filosofico, è molto più utile, per capire la vera fede, guadre agli esempi di fede. Questo è ciò che fa l’autore in Ebrei 11. Se vogliamo conoscere l’aspetto della vera fede, tutto ciò che dobbiamo fare è considerare i tanti personaggi biblici che hanno mostrato nella loro vita il giusto tipo di fede e imitarli. Inoltre, gli esempi di fede in Ebrei 11, sono esempi di persone che non si sono tirate indietro, anche se tutto era contro di loro. Perché confidavano veramente in Dio e si affidavano a Lui, seguendolo nonostante ogni difficoltà e sfida. Per questo l’autore dice loro che “la fede è certezza di cose che si sperano, dimostrazione di realtà che non si vedono” (v 1). Chi ha veramente fede in Dio è sicuro e convinto che la via di Dio sia la via giusta e vive di conseguenza. Analizziamo brevemente gli esempi di fede in Ebrei 11.
Notiamo come inizia l’elenco degli esempi di fede in Ebrei 11. L’autore dice: “Per fede comprendiamo che i mondi sono stati formati dalla parola di Dio; così le cose che si vedono non sono state tratte da cose apparenti”. (v 3). Perché l’autore menziona la creazione? Cosa ha a che fare questo con ila costanza di seguire Dio anche nelle difficoltà? La risposta è che avere fede significa credere che stia arrivando un nuovo mondo, anche se non possiamo ancora vederlo. Creare nuove cose è ciò che fa Dio. Questo ci racconta l’inizio della storia biblica. Dio può fare cose nuove, può creare una nuova vita, può creare una nuova situazione. Ed è ciò che ha promesso. Dio ha detto che sta costruendo per il suo popolo una nuova città in un mondo nuovo, e alla fine di tutte le cose radunerà il suo popolo in quel nuovo luogo. Che conforto sapere, mediante la nostra fede, che questo mondo non è tutto ciò che esiste e che una vita meravigliosa in un luogo più grande attende i fedeli. Questo ci motiva a resistere.
In secondo luogo, dobbiamo capire che Dio vede la nostra fede come un atto di giustizia. Questo è il punto nelle storie di Abele, Enoc e Noè nei versetti 4-7. Tutti e tre questi uomini erano considerati giusti perché avevano fede in Dio. Abele era un uomo che si era affidato a Dio e l’accettazione del suo sacrificio testimoniava “che era giusto” (v 4). Il fatto che Enoc non abbia visto la morte, ma sia stato preso da Dio, significa chiaramente che “era gradito a Dio” (v 5). La fiducia di Noè nella parola di Dio, gli fece costruire l’arca, lo portò ad essere “un erede della giustizia che si ha per mezzo della fede”. Il filo conduttore è una combinazione di fede e rettitudine. O, per dire diversamente, nessuna persona può essere considerata giusta se non ha fede.
Prima di passare al punto successivo, vale la pena notare che da nessuna parte la Bibbia promette che Dio assicura alle persone di fede di evitare le difficoltà. Può accadere che una persona di fede scampi alla morte, come accadde ad Enoch e a Noè. Ma altre volte sono morte per mano di uomini malvagi, come accadde ad Abele. L’autore mostrerà, alla fine del capitolo che alcuni fedeli hanno subito terribili sofferenze. Il punto in questo contesto, tuttavia, è che le persone di fede sono diverse dal mondo e essere diversi non è mai facile. Spesso essere diversi provoca persecuzioni, come avvenne per Abele. A volte questa differenza alla fine diventa più evidente, e le persone di fede non partecipano alla distruzione dei malvagi, come nel caso di Noè. Notiamo che Noè seguendo Dio “condannò il mondo”. La sua ubbidienza mostrò la sua diversità, mostrò che aveva ragione a confidare in Dio e che il mondo aveva torto. Essere persone di fede significa essere diversi dal mondo che ci circonda.
Questo ci porta al terzo punto. La storia di Abramo, come è raccontata nei vv 8-16, ci mostra che avere fede significa vivere in questo mondo da stranieri, perché la nostra vera casa è in cielo. Dio chiamò Abramo a lasciare la sua casa ancestrale e a vivere tra persone che non conosceva, persone con le quali non aveva legami. Dio lo aveva chiamato a rinunciare al suo mondo e ad iniziare una nuova vita in un luogo per lui completamente nuovo. Eppure, Abramo aveva la consapevolezza che vivere nella terra di Canaan fosse l’anticipazione di qualcos’altro. Sapeva che la terra o la città cui Dio lo stava chiamando non era la terra di Palestina, ma il cielo stesso. “Perché aspettava la città che ha le vere fondamenta e il cui architetto e costruttore è Dio” (v 10). Quindi la sua vita in strutture temporanee (tende) rifletteva la comprensione che nessun luogo su questa terra fosse la sua vera casa.
Quarto, fede significa credere che alla fine Dio si unirà a noi con la nostra famiglia spirituale. Questa è la lezione che arriva nei versetti 17-22, poiché l’autore racconta le storie di Isacco, Giacobbe e Giuseppe. Tutte e tre queste storie hanno in comune il fatto che hanno coinvolto persone che hanno vissuto una sorta di separazione, ma alla fine sono state portate nelle loro vere famiglie. Isacco, come ricorderete, stava per morire perché Dio disse ad Abramo di offrirlo in olocausto. Ma alla fine della storia Isacco non è morto. Dio lo restituì ad Abramo in quello che si rivelò essere un presagio di risurrezione. Sebbene la Bibbia non descriva ciò che Isacco pensava di tutto questo, sembra chiaro che gli impresse l’idea che Dio avrebbe salvato il suo popolo in futuro. Perciò l’autore di questa lettera dice: “Per fede Isacco benedisse Giacobbe ed Esaù anche riguardo a cose future” (v 20). E alla fine dei suoi giorni, le ultime parole di Giacobbe ai suoi figli (in Genesi 49) riguardarono proprio il loro futuro nel piano di Dio, poiché Dio li avrebbe trasformati in un grande popolo. Questa lungimirante fiducia in Dio fu infine tramandata a Giuseppe. Anche se Giuseppe trascorse la maggior parte della sua vita fuori dalla terra promessa, credeva che un giorno Dio avrebbe adempiuto la sua promessa e portato il suo popolo in quel luogo. Così Giuseppe, morente, fece menzione della promessa fatta da Dio ai figli d’Israele e diede ordini riguardo alle sue ossa. Disse, in Genesi 50:25 “Dio per certo vi visiterà; allora portate via da qui le mie ossa”. Notiamo che Giuseppe non disse “portate con voi le mie ossa se Dio manterrà la sua promessa”. Disse “portate le mie ossa con voi quando Dio adempirà la sua promessa”. Sapeva che Dio li avrebbe portati nella terra promessa e voleva farne parte. Ciò che accomuna queste storie è il tema di essere parte della futura grandezza della famiglia di Dio, per mezzo della fede.
Quinto, fede significa dire “no” al mondo perché crediamo che Dio si prenderà cura di noi. Questo è il punto dei versetti 23-27, dove l’autore ricorda la storia di Mosè. Come sapete, Mosè in realtà crebbe nella casa del re d’Egitto. Dalla sua nascita, gli egizi furono la sua famiglia. Ma venne il giorno in cui rinunciò agli onori della corte per prendere il suo posto tra il popolo di Dio, che era la sua vera famiglia. La fiducia in Dio costò a Mosè il rapporto con la sua famiglia terrena che lo considerò un traditore, ma lui scelse il Signore: “preferendo essere maltrattato con il popolo di Dio che godere per breve tempo i piaceri del peccato, stimando gli oltraggi di Cristo ricchezza maggiore dei tesori d’Egitto, perché aveva lo sguardo rivolto alla ricompensa” (vv 25-26). Anche se affrontò l’ira del faraone, Mosè “rimase costante, come se vedesse colui che è invisibile” (v 27). Cioè, per lui piacere al Padre spirituale significava molto di più che compiacere il padre terreno.
Sesto, le storie dell’esodo e della conquista di Gerico ci insegnano che fede significa credere che Dio vincerà il nemico e salverà i fedeli. Questo è il punto della breve sezione di Ebrei 11:28-31. Serviva fede nella parola di Dio per credere che tutti i primogeniti in Egitto sarebbero morti nel giorno stabilito. Il testo dell’Esodo sembra suggerire che non vi fosse alcuna indicazione che qualcuno stesse per morire. Era noto solo perché Dio aveva detto che sarebbe successo e gli Israeliti dovevano crederci. Ci voleva fede anche per credere che uccidere un agnello e spalmarne il sangue sullo stipite della porta avrebbe salvato la loro vita. Come può il sangue animale sulla porta d’ingresso tenerti al sicuro? A loro merito, tuttavia, va detto che gli israeliti confidarono nella parola che Dio aveva pronunciato tramite Mosè e fecero esattamente quanto gli era stato detto. Il risultato fu che il nemico soffrì sotto l’ira di Dio, Israele no. Ma il popolo andò anche oltre. Ci voleva una fede tremenda per attraversare il Mar Rosso. La Bibbia dice che Dio aprì le acque con un forte vento che veniva da oriente. Chissà per quanto tempo il vento avrebbe continuato a soffiare? Ci voleva fede per credere che Dio avrebbe tenuto le acque separate abbastanza a lungo per poterle attraversare. E poi, ciò che aveva salvato gli israeliti distrusse gli egiziani. Quando gli egiziani tentarono di attraversare il Mar Rosso, Dio fece in modo che le acque li coprissero e li affogassero. Alla fine della storia, il popolo di Dio era sano e salvo e il nemico era scomparso. Questo racconto è un’anteprima di come sarà alla fine di tutte le cose. Se seguiremo le istruzioni di Dio ora, alla fine restermo in piedi. Il nemico se ne sarà andato e non lo si vedrà mai più. La storia di Gerico rafforza questo punto. Gerico fu il primo ostacolo che gli Israeliti trovarono all’ingresso della terra promessa, ma cadde non per loro astuzia o per la loro superiorità numerica, ma per la potenza di Dio che operava per loro. Non ci sarà ostacolo o nemico, che potrà impedire al popolo di Dio di raggiungere la terra promessa da Dio, a patto che il popolo di Dio riponga la sua fiducia in Lui.
Infine, Ebrei 11,32-40 riassume e sottolinea brevemente il fatto che fede significa perseveranza. Tutte le persone elencate lì hanno affrontato grandi difficoltà, sofferenze e opposizione da parte dei nemici. Alcuni di loro sono morti, ma tutti hanno resistito. Nessuno di loro ha abbandonato prima della fine.
Prima di concludere, vorrei richiamare la vostra attenzione su quello che è un evidente punto di cambiamento nel testo di Ebrei 11. Fino al versetto 31, l’autore ha commentato, a volte ampiamente, i personaggi e gli eventi che ha tratto dall’Antico Testamento. Ma a partire dal versetto 32, l’autore menziona semplicemente i nomi, senza lunghi commenti o raccontando le storie, ma facendo su di loro solo brevi osservazioni. Perché c’è questo cambiamento nello scrittore sacro? Ebbene, l’autore stesso afferma: ” Che dirò di più? Poiché il tempo mi mancherebbe per raccontare di Gedeone, Barac, Sansone, Iefte, Davide, Samuele e dei profeti…”. Ebrei era, con ogni probabilità, un sermone che veniva scritto e letto ai destinatari. Questo è il motivo per cui l’autore era preoccupato di abusare del loro tempo. È anche possibile che l’autore sapesse che i suoi lettori conoscevano già tutte quelle storie, e quindi non doveva elaborarle. Ma c’è anche un’altra ragione che sembra probabile. Lo sguardo dettagliato alle storie termina quando la storia di Israele raggiuse la terra promessa, e questo sembra essere il punto che l’autore di Ebrei ha voluto sottolineare. Il nostro viaggio terminerà quando saremo nella terra promessa, nella città celeste che Abramo e tutti gli altri stavano cercando. Come dice l’autore nel v 40, Dio ha sempre voluto che condividessero con noi il loro obiettivo e la loro ricompensa “in modo che loro non giungessero alla perfezione senza di noi” (v 40).
Il punto principale di Ebrei 11 è che le persone di fede resistettero fino a raggiungere la terra promessa. Certo, ci sono altre lezioni sulla fede da storie e personaggi vissuti anche dopo, ma questo è ciò che l’autore di Ebrei ha voluto sottolineare, e si pone ancora oggi per noi come una lezione meravigliosa. Imitiamo queste grandi persone di fede, cechiamo di avere lo stesso tipo di fede nei nostri cuori, affinché possiamo unirci a loro, ed essi possano unirsi a noi, nella meravigliosa terra e città che Dio ha preparato per noi.