Pubblicati da gberdini

Smarrimento e ritrovamento

Dove finiscono le cose del nostro passato? I piccoli oggetti che usavamo solo qualche anno fa, dove sono? E le persone, gli amici di un tempo, dove sono? E dove se ne va il tempo? Qual è lo scopo di tutto? Sono domande suscitate talvolta da fatterelli, talaltra da eventi che capitano nella vita nostra. Il Qoelet (predicatore) propone risposte tendenti allo scetticismo quando scrive:

Per tutto vi è il suo tempo, vi è il suo momento per ogni cosa sotto il cielo: un tempo per nascere e un tempo per morire; un tempo per piantare e un tempo per svellere ciò che è piantato; un tempo per uccidere e un tempo per guarire; un tempo per demolire e un tempo per costruire; un tempo per piangere e un tempo per ridere; un tempo per fare cordoglio e un tempo per ballare (…). Che profitto trae colui che lavora dalla sua fatica? Io ho visto le occupazioni che Dio dà agli uomini perché vi si affatichino. Dio ha fatto ogni cosa bella al suo tempo; egli ha perfino messo nei loro cuori il pensiero della eternità, quantunque l’uomo non possa comprendere dal principio alla fine l’opera che Dio ha fatta (Ecclesiaste 3).

Eternità e incomprensione: tale la visione disincantata del saggio Ecclesiaste. A che pro la vita? Lo stesso pensiero …

SCONVOLGENTE! DIO CI AMA

Chiesa di Cristo Monfalcone

L’amore ha una posizione centrale nella rivelazione del Vangelo. Esso rappresenta il rapporto unico che intercorre fra l’uomo e Dio.

Nella prima lettera dell’apostolo Giovanni (4:8) si legge: “Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore”.

L’amore non è soltanto una delle perfezioni di Dio, ma ne è l’essenza stessa, la perfezione morale che penetra e abbraccia tutte le altre; essa è il più fulgido raggio del Nuovo Testamento.

L’affetto fraterno per raggiungere le alte vette della più eccelsa virtù, deve assorbire, essere intriso, dissetato, rivestito dall’AMORE.

L’apostolo Pietro scrive nella sua seconda lettera (1:7): ” aggiungete alla vostra fede la virtù; alla virtù la conoscenza; alla conoscenza l’autocontrollo; all’autocontrollo la pazienza; alla pazienza la pietà; alla pietà l’affetto fraterno; e all’affetto fraterno l’amore”.

L’apostolo Paolo volendo dare un’idea della suprema perfezione morale dell’amore, lo spiega e lo tratteggia con 14 aggettivazioni qualificanti (1 Corinzi 13:4-7): “L’amore è paziente, è benevolo; l’amore non invidia; l’amore non si vanta, non si gonfia, non si comporta in modo sconveniente, non cerca il proprio interesse, non s’inasprisce, non addebita il male, non gode dell’ingiustizia, ma gioisce con la verità; soffre ogni cosa, crede ogni cosa, spera ogni cosa, sopporta ogni cosa”.

Fantastico!  L’amore arriva fino al traguardo dove la vista lo spinge, e anche se vi trova l’opposto …

IL VERO SIGNIFICATO DELLA PASQUA

“Purificatevi del vecchio lievito, per essere una nuova pasta, come già siete senza lievito. Poiché anche la nostra Pasqua, cioè Cristo, è stata immolata, Celebriamo dunque la festa, non con vecchio lievito, né con lievito di malizia e di malvagità, ma con gli azzimi della sincerità e della verità” (1 Corinzi 5:7-8).

Il termine “Pasqua” (ebraico: pesach, lett. passaggio,) deriva dal verbo ebraico pasach, che significa ‘passare oltre’. Siamo al tempo di Mosè, il popolo di Israele è schiavo in Egitto ma Dio ascolta il suo lamento e manda proprio Mosè, che era cresciuto fino a 40 anni con gli egiziani, a liberarlo.

Tuttavia, il Faraone non è d’accordo e non accetta di perdere così facilmente un serbatoio di schiavi. Mosè allora per convincerlo, scatena una serie di piaghe che colpiscono l’Egitto. La decima è la più terribile. Tutti i primogeniti in Egitto sarebbero stati uccisi e affinché l’angelo sterminatore non entri nelle case dei figli d’Israele essi dovranno bagnare con il sangue di un agnello senza difetto gli stipiti delle loro porte.

 La Pasqua vuole proprio ricordare il ‘passaggio’ del Signore oltre le case degli Israeliti. Con una cena particolare (Seder di Pesach), che si consuma seguendo un rituale ben preciso, gli Ebrei celebrano la notte di veglia in onore del Signore che, risparmiò i …

IL FIUME GIORDANO

 Il fiume Giordano è uno dei più famosi fiumi al mondo. Il suo nome in ebraico è Yarden che significa “colui che scende”.

È conosciuto non perché bagni città importanti come il Tamigi a Londra, la Senna a Parigi o il Tevere a Roma, né perché sia uno tra i fiumi più lunghi e navigabili (è lungo solo 350 km), o perché si svolgano su di esso importanti attività commerciali come, ad esempio, il Mississippi negli Stati Uniti.

Neppure è importante perché ha donato fertilità, come il Nilo in Egitto, anzi le sue acque non sono mai state usate nemmeno per irrigare la terra.

Eppure, è famoso per tre importanti ragioni:

  1. La sua particolare caratteristica fisica.
  2. Gli eventi storici ai quali è collegato.
  3. Il significato simbolico che occupa nella vita dei Cristiani.

CARATTERISTICHE FISICHE

Tutti fiumi nascono vicino alle montagne e iniziano la loro discesa verso il mare.

Il Giordano invece nasce da una grande sorgente di acqua fredda che è alimentata dalle nevi del monte Hermon in Libano. Questa sorgente è situata solo pochi metri sopra il livello del mare. L’acqua di questa sorgente e di altre due poste poco distanti si riuniscono insieme e dopo circa 10 chilometri formano un laghetto chiamato nella Bibbia “le acque di Merom” (ora lago Hule), lungo 6 chilometri e largo 5, con …

IL BENE E IL MALE

L’uomo, unico in questo fra gli esseri del creato, possiede totale libero arbitrio e, di conseguenza, piena responsabilità morale. Il problema centrale della sua esistenza, da questo punto di vista, è quindi quello di scegliere fra il bene il male. Se i fanciulli, come la Bibbia sottolinea, ancora “non conoscono né il bene né il male” (Deuteronomio 1:39), man mano che essi crescono si trovano di fronte a scelte sempre più precise, non di rado difficili, a volte foriere di conseguenze indelebili, e devono ricevere e/o trovare dei criteri in base ai quali comportarsi. Vale per ogni uomo quanto espresso da Dio al suo popolo tramite il grande profeta Mosè: “Vedi, io pongo oggi davanti a te la vita e il bene, la morte e il male … Scegli dunque la vita…!” (Deuteronomio 30:15.19). Ma come fare a stabilire che cosa concretamente sono il bene e il male? A chi spetta l’autorità di definirli?

Sicuramente l’uomo, creato a immagine di Dio (ossia dotato di un’intelligenza di una coscienza che lo mettono in grado di relazionarsi con l’Onnipotente) può ritrovare nel proprio spirito i principi morali e spirituali fondamentali che fanno parte della personalità del Creatore: la Sacra Scrittura dice infatti che gli uomini possono adempiere “per natura le cose della legge” divina, in quanto questa legge “è scritta nei loro

COSA ACCADRÀ DOPO LA MORTE?

Vivremo per sempre sulla terra in un idilliaco Paradiso?

 Gli Ebrei aspettavano un Messia che li avrebbe riscattati e che avrebbe istaurato un nuovo governo e la loro delusione e incredulità derivò proprio dal fatto che Gesù non fece nulla di tutto questo, al contrario istaurò un regno spirituale, che non fu compreso proprio come oggi, un regno dove l’uomo può trovare il perdono e la comunione con il Padre. Un regno che non ha caratteristiche fisiche e materiali ma che è dentro ogni uomo che vuole diventare Suo Figlio. Quando Il Vangelo parla di regno dei cieli, si riferisce sempre alla chiesa, realtà spirituale dove Gesù regna oggi: “Egli ci ha riscossi dalla potestà delle tenebre e ci ha trasportati nel regno del suo amato Figliuolo” (Colossesi 1:13). Paolo conferma e pone l’accento sulla realtà spirituale della chiesa definendola addirittura un “luogo celeste”, ossia spirituale, che proviene dalla mente di Dio: “…ci ha risuscitati con lui e con lui ci ha fatti sedere nei luoghi celesti in Cristo Gesù” (Efesini 2:6).

Non dobbiamo avere l’arroganza e la presunzione di sapere quello che è nella mente del Padre. Non sappiamo quale sarebbe stato il destino dell’uomo se non avesse peccato. Non sappiamo se Dio lo avrebbe trasportato comunque in una dimensione spirituale senza fargli conoscere morte e dolore …

Riflessione sul nuovo anno

È iniziato il nuovo anno e come ogni volta siamo sommersi dagli auguri. Forse perché non si sa che cosa dire si torna al già detto (buon anno), e si reiterano vecchie formule: anno nuovo…vita nuova! Poi però tutto si rivela vecchio, ripetitivo, scontato. Si spera che il 2025 sarà diverso dal 2024, ma si diceva la stessa cosa del 2024, del 2023 e di ogni anno passato. L’uomo si illude che la sua vita sia eternamente felice, senza alcuna difficoltà e cerca disperatamente l’eterna giovinezza facendo di tutto per evitare di invecchiare. Poi invece si accorge che il tempo passa inesorabilmente e che la vita va avanti anche con tutti i suoi problemi e le sue sconfitte. L’illusione sta nell’arbitrarietà delle suddivisioni temporali. Che cosa finisce davvero il 31 dicembre? Che cosa inizia il primo gennaio? Si tratta di mera convenzione, per giunta sbagliata persino nella datazione, tutti sanno infatti che c’è un errore di circa 4 o 7 anni in meno nel nostro computo degli anni.

La verità è che senza Dio la vita dell’uomo perde di qualsiasi significato e fugge scivolando via dalle nostre mani che cercano disperatamente di trattenerla.

Giacomo, il fratello carnale di Gesù, rende questa realtà con una immagine chiarissima: “Che cos’è infatti la vostra vita? Siete un vapore che appare

FESTEGGIARE IL NATALE?

Quello di Natale sembra un periodo magico, dove tutto diventa quasi irreale e armonioso. La suggestione che l’uomo ha creato sul Natale ferma per un attimo la routine della vita, anche di coloro che sono sempre indifferenti ai problemi dello spirito, e tutti, anche se per pochi istanti, si lasciano sollecitare dai messaggi di pace e di amore che echeggiano ovunque.

È importante, tuttavia, fermarci per riflettere seriamente senza lasciarci coinvolgere troppo dal sentimento e dalle emozioni e chiederci: “È giusto essere Cristiani solo pochi giorni l’anno? È giusto parlare di pace e amore nel giorno di Natale per ritornare subito dopo a sbranarci come dei lupi? È questo l’intento di Dio? E soprattutto è vero che Gesù di Nazareth è nato il 25 dicembre e che la Bibbia ci insegna a festeggiare questo giorno? Insomma, quale è la volontà di Dio sul Natale?

Basta riflettere un momento per capire l’importanza di queste domande, perché a seconda delle risposte che daremo, il nostro comportamento cambierà. Se Gesù è nato il 25 dicembre e se ci ha ordinato di festeggiare il suo “compleanno”, allora faremo bene a ubbidire e a vivere tutte le implicazioni che tale festeggiamento comporta. Ma se Cristo non è nato il 25 dicembre e se soprattutto non ci ha ordinato di festeggiare questa ricorrenza, allora faremo bene …

I DUE DISCEPOLI DI EMMAUS (Luca 22:13-34)

L’ultima settima della vita del Signore è stata una settimana molto intensa e piena di eventi. Gesù è salito a Gerusalemme per celebrare la Pasqua ebraica. È stato accolto dalle folle in maniera trionfale, celebrato come un re. È andato nel tempio e ha insegnato mostrando la sua autorità. Si è scontrato con Scribi e Farisei mettendo in risalto la loro ipocrisia e la loro poca fede nel Dio d’Abramo, che pur affermavano di seguire. Poi durante la cena pasquale ha rivelato ai discepoli il destino che lo attendeva, ha lavato loro i piedi insegnando l’umiltà e il servizio e ha istituito il memoriale della cena affinché coloro che lo amano non dimentichino il suo sacrificio e abbiano in loro una profonda riconoscenza che si trasformi in fede ubbidiente. Quindi è stato tradito da uno dei suoi. È stato arrestato, rinnegato da chi diceva di amarlo e avrebbe fatto qualsiasi cosa per lui. È stato processato, ingiuriato, flagellato. È stato condannato a morte da quella stessa folla che lo aveva acclamato solo pochi giorni prima. Infine, è stato crocifisso insieme a due ladroni, trafitto da una lancia, sepolto nella tomba di Giuseppe d’Arimatea.

Nel giro di una settimana tutto si è dissolto, tutto è svanito, tutto è finito: sogni, aspettative, bisogni, certezze, desideri, progetti, speranze e promesse che si erano

DIO È LUCE

È difficile parlare di Dio. Immaginare Dio. Ricondurre Dio alla nostra dimensione. Tuttavia, la Scrittura per aiutarci a comprenderne la natura ci suggerisce l’idea della luce. Dio è luce per descriverne la purezza e la santità (Giovanni 1).

L’esperienza umana del contrasto tra luce/giorno e buio/tenebre in tutte le culture corrisponde all’alternativa tra positivo e negativo, tra vita e morte.

Specialmente in un’epoca in cui più netto era il passaggio tra la notte, buia e il giorno luminoso, si era soliti attribuire a queste due condizioni valori e simbolismi profondi.

La notte richiama, e soprattutto richiamava al tempo di Gesù, la paura di camminare senza vedere, il pericolo di aggressioni, il rischio di perdere la strada, di cadere in balia di nemici. Ma soprattutto la notte e l’oscurità portano da sempre il pensiero alla morte.

La Luce al contrario corrisponde a sicurezza, velocità nel cammino, autonomia, possibilità di difendersi.

Questo contrasto viene usato anche a livello intellettuale. Nella luce si ha la conoscenza, la comprensione, la capacità di scegliere in modo ragionevole, mentre nel buio e nell’oscurità si ha l’incapacità di vedere chiaramente, l’ignoranza. Il cieco brancola in un mondo oscuro e ostile, deve affidarsi agli altri, ed è consapevole che anche chi è più debole di lui può farlo cadere.  Ed è così che cecità e morte